Il diritto di famiglia italiano fu completamente riformato nel 1975. Il sistema previgente era impostato su antichi retaggi ormai anacronistici, come il ruolo di capofamiglia assegnato al marito-padre con tutti i diritti conseguenti, e divenuti largamente incostituzionali con l’emanazione, diversi decenni prima, della Carta fondamentale della Repubblica.
Un po’ a sorpresa, tuttavia, l’auspicata e complessa riforma del diritto familiare introdusse quasi di soppiatto un istituto del tutto nuovo, l’impresa familiare, che destಠe desta tuttora parecchie difficoltà di ordine pratico. In effetti, distinguere quando un’impresa puಠessere definita “familiare†e quando no èspesso tutt’altro che facile.
E tuttavia èuna differenza di importanza basilare, poichè nell’impresa familiare ritroviamo alcune norme che non trovano paragone in alcun altra legge inerente il diritto commerciale.
All’impresa familiare èdedicato un solo articolo del Codice Civile, il n. 230-bis, introdotto appunto nel nostro ordinamento oltre trent’anni fa.










Secondo le regole generali del Codice Civile, quando una persona effettua nei confronti di un’altra una proposta contrattuale, ha sempre la possibilità di ritirarla prima che la controparte accetti. Una volta invece che si èavuta l’accettazione del destinatario, la proposta non puಠpi๠essere ritirata.

