Home » Ambiente di lavoro per comunità LGBTQIA+: c’è ancora tanto da fare

Ambiente di lavoro per comunità LGBTQIA+: c’è ancora tanto da fare

Percorso ancora lungo da fare con il mondo del lavoro per comunità LGBTQIA+. In un ambiente di lavoro veramente inclusivo, l’autenticità dovrebbe essere la norma. Eppure, per molte persone LGBTQIA+, la quotidianità professionale è caratterizzata dal “passing”, ovvero lo sforzo continuo di apparire eterosessuali e cisgender (persone che si riconoscono nel genere assegnato alla nascita) per conformarsi alle aspettative e garantire la propria “sopravvivenza” professionale.

Il passing non è solo una scelta individuale, ma una risposta diretta a contesti aziendali che spesso non offrono sicurezza, spingendo all’autocensura (evitare di parlare della vita privata, modificare l’aspetto) per prevenire discriminazioni o isolamento. Il costo di questa rinuncia all’autenticità è elevato, causando stress, minor coinvolgimento e senso di isolamento.

lavoro per comunità LGBTQIA+
lavoro per comunità LGBTQIA+

Le quattro forme di passing in ambito lavorativo

Una ricerca sociologica ha identificato quattro modi in cui il passing si manifesta:

Passing Normalizzato. La persona e l’ambiente rifiutano l’identità LGBTQIA+, portando all’interiorizzazione della conformità come unica scelta “giusta” o “naturale”.

Passing Difensivo. La persona accetta sé stessa, ma l’ambiente è ostile; il passing serve come strategia di protezione per evitare discriminazioni esplicite.

Passing Strategico. L’ambiente è aperto, ma la persona sceglie di non esporsi per cautela o per evitare la fatica emotiva di dover spiegare o giustificare la propria vita.

Passing Strumentale. Si utilizza per evitare svantaggi in situazioni specifiche (es. trattative con partner internazionali di Paesi non inclusivi), anche in un contesto aziendale supportivo.

Il denominatore comune resta la pressione del contesto lavorativo a nascondersi.

La realtà italiana sul lavoro per comunità LGBTQIA+

In Italia, il passing è un fenomeno concreto, soprattutto per le persone trans e non binarie (TNB) e per quelle cis lesbiche, gay e bisessuali (LGB), come confermato dalle indagini ISTAT-UNAR.

TNB. Quasi una su due ha subito discriminazioni nella ricerca di lavoro; il 40,6% ha subito discriminazioni sul posto di lavoro (mancate promozioni, differenze salariali). Il 69,5% evita di parlare della vita privata e il 37,4% ha subito outing (rivelazione non consensuale dell’identità).

LGB. L’84,3% è “parzialmente visibile”, ma il 61,2% evita di parlare della propria vita privata per paura di ostilità, molestie (micro-aggressioni come l’uso del deadnaming) o outing (31,2%).

Complessivamente, il 57,1% delle persone TNB e il 41,4% delle persone LGB percepisce di aver subito uno svantaggio professionale. Di fronte a ciò, oltre il 70% di chi subisce discriminazioni non intraprende alcuna azione, segnalando sfiducia nei meccanismi di tutela. Il passing diventa il modo più efficace per sentirsi al sicuro.

Oltre le Policy: creare una cultura abilitante

Nonostante il 93% delle aziende adotti policy di non discriminazione, il divario con la cultura aziendale vissuta è ampio. Per superare questa impasse, è necessario un cambiamento strutturale che trasformi l’inclusione da dichiarazione di intenti a condizione abilitante.

Le azioni più efficaci si concentrano su: Impegno della Leadership, Politiche Inclusive a 360° (es. benefit familiari estesi, bagni gender neutral), Formazione Capillare e Mirata che includa management e HR, Monitoraggio e Accountability con sanzioni per i comportamenti discriminatori, Empowerment e Supporto Concreto (come gli Employee Resource Group – ERG) e Advocacy Pubblica a difesa dei diritti LGBTQIA+. L’obiettivo non è obbligare tutti a fare coming out, ma costruire contesti in cui l’autenticità non sia più in conflitto con la sicurezza. L’inclusione si misura nella possibilità concreta di essere se stessi senza dover negoziare la propria esistenza.