Una volta stabilito perಠa quanto ammonta il TFR e quando viene erogato al lavoratore, tuttavia, rimaneva oggetto di discussione che sorte esso dovesse avere nel periodo intermedio, fra il momento in cui matura e quello in cui èattribuito al dipendente.
Da sempre, il TFR veniva accantonato nei bilanci aziendali come un fondo a parte. Questo era visto con grande favore dagli imprenditori, in quanto finiva per costituire una riserva finanziaria non da sottovalutare, utilissima per fronteggiare i fabbisogni dell’impresa nel medio-lungo periodo.
Se un lavoratore entra in azienda a venticinque anni e ne esce a sessantacinque, èfacile comprendere che per quarant’anni l’impresa puಠimpiegare il fondo TFR via via maturato ma non ancora erogato per coprire le proprie esigenze finanziarie, salvo poi reintegrarlo al momento in cui esso va versato al lavoratore.
Tuttavia, per meglio tutelare i lavoratori in tempi come questi in cui il sistema pensionistico appare sempre meno in grado di offrire un avvenire sereno ai futuri pensionati, èntrata in vigore una radicale riforma, non a caso sostenuta dai sindacati e contestata dagli imprenditori.
Oggi èil lavoratore stesso che sceglie la destinazione del proprio TFR: entro sei mesi dall’assunzione, egli dovrà comunicare all’INPS se accetta di lasciare la liquidazione a disposizione del suo datore oppure destinarla ad un fondo di previdenza integrativa (nell’ultimo anno, banche e istituti finanziari ne hanno istituiti a decine allo scopo); in caso di mancata scelta, il TFR èdestinato ad un apposito fondo gestito direttamente dall’INPS.