Registriamo effetti limitati dai dazi di Trump su Cina e mondo del lavoro. Il recente surplus commerciale record della Cina, che ha superato i mille miliardi di dollari, è il risultato di una combinazione di strategie di diversificazione dei mercati e specifiche dinamiche valutarie, attuando una notevole resilienza contro l’ostilità commerciale degli Stati Uniti.

Cosa succede coi dazi di Trump su Cina e mondo del lavoro
La Cina ha abilmente reindirizzato le sue esportazioni, compensando ampiamente le perdite sul mercato statunitense. A novembre, le esportazioni verso l’Unione Europea sono aumentate di quasi il 15% rispetto all’anno precedente, con una crescita significativa delle vendite dirette verso paesi chiave come Francia, Germania e Italia. Parallelamente, le esportazioni verso l’Africa hanno registrato un balzo di quasi il 28%, mentre quelle dirette verso l’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico) sono cresciute dell’8,4%.
Un altro elemento cruciale è la strategia logistica impiegata per aggirare i dazi. Molte aziende cinesi hanno spostato l’assemblaggio finale dei loro prodotti nei paesi dell’ASEAN (tra cui Vietnam, Malaysia e Cambogia). Spedendo poi i prodotti finiti da queste nazioni agli Stati Uniti, la Cina è riuscita a bypassare una parte dei dazi mirati specificamente alle merci provenienti dal territorio continentale cinese.
Nonostante i dazi statunitensi, il saldo commerciale bilaterale tra Cina e Stati Uniti è rimasto stabile, essenzialmente per ragioni matematiche. È vero che, tra gennaio e novembre, le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti si sono ridotte di quasi il 20%. Tuttavia, in risposta, la Cina ha ridotto in modo analogo le importazioni di merci statunitensi, interrompendo quasi completamente gli acquisti di soia americana, con conseguenti danni significativi per il settore agricolo statunitense.
Poiché la riduzione di esportazioni cinesi è stata bilanciata da una riduzione quasi pari delle importazioni, l’effetto sul saldo commerciale complessivo (esportazioni meno importazioni) è stato praticamente nullo. Nonostante la guerra commerciale, il rapporto di forza è rimasto immutato: la Cina continua a esportare negli Stati Uniti merci per un valore totale circa tre volte superiore rispetto a quanto ne importa.
L’andamento eccezionale del surplus è stato anche alimentato da una politica monetaria specifica. A differenza delle banche centrali occidentali, la banca centrale cinese non è indipendente dalla politica e ha mantenuto artificialmente debole il renminbi (yuan). Questa svalutazione ha reso i prodotti cinesi, già competitivi, ancora più convenienti sui mercati esteri. Negli ultimi tre anni e mezzo, il renminbi ha perso più del 15% del suo valore contro l’euro e poco più del 5% contro il dollaro. Un renminbi più debole significa che servono meno euro o dollari per acquistare merci in yuan, potenziando la domanda di prodotti Made in China.
Tuttavia, questi successi nel commercio estero si inseriscono in un contesto economico interno fragile, segnato da una grave crisi immobiliare, un calo dei consumi interni e una preoccupante disoccupazione giovanile. La forte dipendenza della seconda economia mondiale dal commercio con l’estero, pur essendo un elemento di forza, rappresenta un segnale di vulnerabilità in un panorama globale sempre più incerto.