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Nuovo fisco per i distretti industriali

ritaglio di una fabbrica italiana

Un vanto del nostro tessuto produttivo sono i distretti industriali: pluralità  di aziende (talvolta anche centinaia) che operano in stretto contatto l’una con l’altra, normalmente operanti nello stesso ramo e integrate fra loro da rapporti di vario genere, come lo svolgimento in comune di determinate funzioni (approvvigionamenti di materie prime, attività  di ricerca e sviluppo ecc.).

Sono diffusi in tutta l’Italia, ma èsoprattutto nel Nord-Est che esse hanno assunto un ruolo-chiave nel prodigioso sviluppo economico di quelle aree.


Il distretto èuno straordinario laboratorio in cui convivono senza apparenti difficoltà  due elementi normalmente ben distinti: cooperazione e concorrenza. Un peculiare mix di elementi, che ha sollecitato negli anni l’interesse delle autorità  economiche di molti Paesi, che hanno cercato di trasportare il nostro modello all’estero (con risultati alterni).

Da tempo si discute di adottare un sistema fiscale diverso per i distretti, al fine di avvantaggiarli e favorirne lo sviluppo. Esistono, anzi, già  da anni delle leggi che prevedono l’istituzione di una tassazione comune a livello di distretto, simile a quella adottabile nei gruppi aziendali.


Tuttavia, non èmai intervenuta una norma applicativa che traduca queste ipotesi in una realtà  effettiva. Anche recentemente il ministro Tremonti si èdetto favorevole ad una rapida approvazione dell’iter che dovrebbe portare al nuovo sistema fiscale, ma molti restano i punti in sospeso. Non èchiaro, pi๠di tutto, se il sistema sarà  da considerarsi obbligatorio o se singole aziende possano mantenere una fiscalità  a sè stante.

Tremonti deve perಠtenere conto delle opposizioni: sono molti i piccoli imprenditori che ritengono un fattore di sviluppo l’autonomia delle loro realtà  aziendali e rifiutano l’idea di una tassazione comune, perchè sarebbe un passo troppo netto verso l’ingabbiamento della loro dinamica realtà  aziendale in uno schema rigido e omogeneizzante.