
Ipotesi eliminazione articolo 18 per i nuovi contratti



La natura disciplinare del licenziamento implica, affinchè esso non risulti illegittimo, la scrupolosa osservanza da parte del datore di lavoro delle disposizioni contenute nella legge 300/1970.

La stessa riforma dovrebbe inoltre trovare il modo per accogliere i ripetuti richiami dell’Unione europea in merito alla mancanza di ammortizzatori sociali in Italia.

Ad affermalo èstata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21421 del 17 ottobre 2011, nella quale viene precisato che tale decisione si basa sulla necessità di evitare che il lavoratore illegittimamente licenziato non subisca, o subisca al minimo possibile, i pregiudizi derivanti dal licenziamento stesso.

A stabilirlo èstata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21485 del 18 ottobre 2011, con la quale èstata accolta la sentenza della Corte d’Appello ed èstata quindi dichiarata l’illegittimità del licenziamento attuato da un’azienda nei confronti di una dipendete dopo una sua violazione di carattere disciplinare.

A stabilirlo èstata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 17977 del 1° settembre 2011, nella quale viene precisato che per aversi incapacità di intendere e di volere del lavoratore non ènecessario che questi risulti privo delle facoltà intellettive e volitive ma èsufficiente che tali facoltà risultino diminuite in maniera tale da pregiudicare la consapevolezza dell’azione che sta per compiere.

In ogni caso restano fatte salve le disposizioni che prevedono il divieto di licenziamento per matrimonio, durante il periodo di maternità e durante il periodo di astensione dal lavoro per congedi parentali.

La Corte d’Appello, in particolare, con la sentenza in esame aveva chiesto il reintegro sul posto di lavoro del lavoratore licenziato per aver fatto delle avances nei confronti di un’inquilina dello stabile in cui stava svolgendo la sua prestazione lavorativa, dopo che le accuse mosse nei confronti del lavoratore erano state ridimensionate dalla testimonianza della stessa donna.

A ribadirlo èstata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16195 del 25 luglio 2011, con la quale ha sottolineato che in caso di inidoneità fisica all’impiego trova applicazione la regola generale in forza della quale grava sul datore di lavoro l’onere di provare la sussistenza dei motivi che hanno portato al licenziamento del dipendente.

In caso di licenziamenti effettuati durante questo periodo, infatti, grava sul datore di lavoro l’onere di provare che il licenziamento non ha nulla a che vedere con le nozze, in quanto deriva da una colpa grave della lavoratrice e che costituisce giusta causa di licenziamento, oppure dalla cessazione dell’attività dell’azienda di cui la lavoratrice èdipendente, dal termine della prestazione per la quale la lavoratrice era stata assunta oppure dalla naturale scadenza del contratto di lavoro.

A stabilirlo èstata la Corte di Cassazione con la sentenza n.14517 del 1° luglio 2011, con la quale ha accolto il ricorso presentato da un lavoratore adibito a mansioni amministrative e licenziato dall’azienda per riduzione del personale e soppressione del posto, respingendo al contempo le sentenze emesse dal Tribunale e dalla Corte d’Appello.

La Suprema Corte ha dunque confermato le due precedenti sentenze rispettivamente pronunciate dalla Corte territoriale di Roma e dalla Corte d’Appello e che, allo stesso modo, hanno definito illegittime le pretese del lavoratore e giustificata la decisione del datore di lavoro di procedere al licenziamento.

Per quanto riguarda la durata del periodo di preavviso, nel caso in cui questa non venga esplicitamente stabilita dal contratto di lavoro, occorre far riferimento a quanto stabilito a riguardo dal Contratto Collettivo Nazionale di riferimento. In alternativa le parti possono decidere di comune accordo la durata del periodo di preavviso. Di seguito un esempio di lettera di dimissioni con preavviso concordato.

Il preavviso, in particolare, deve essere pari a 15 giorni per anzianità fino a cinque anni e a 30 giorni nel caso in cui l’anzianità supera i cinque anni. I suddetti termini, tuttavia, possono essere ridotti o aumentati di comune accordo tra le parti oppure dimezzati in caso di dimissioni volontarie del lavoratore domestico.

La legge precisa che il ramo d’azienda deve essere già esistente, in altre parole non deve essere creato appositamente per la cessione, che deve conservare la propria identità dopo il trasferimento e che in tal caso deve essere seguita una determinata procedura sindacale.