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Contributi dei professionisti, la Cassazione contro l’AdE

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La Corte di Cassazione ritorna ancora una volta sul tormentato tema dei contributi previdenziali versati dai lavoratori autonomi alle proprie casse professionali.

In mancanza di una precisa soluzione da parte del legislatore, la posizione dell’Agenzia delle Entrate in tema ènota da tempo: cosଠcome per i privati cittadini, anche per il “popolo delle partite IVA” i contributi previdenziali a proprio carico sono da considerarsi un onere riferito alla persona fisica nel suo complesso e dunque gli importi sono deducibili nel Quadro RP insieme alle altre voci con sorte analoga (come i contributi per la colf).


Con l’ordinanza n. 1939/2009, invece, la Suprema Corte ha ribadito la sua interpretazione, già  esposta in altre occasioni: si tratta di un costo strettamente inerente alla produzione del reddito di lavoro autonomo da parte del professionista, e dunque va dedotto nel Quadro RE come tutti gli altri costi professionali (cancelleria, ammortamenti, consulenze ecc.).


La differenza non èpriva di conseguenze: per esempio, chi èsoggetto al regime agevolato per le nuove iniziative vedrà  scendere pesantemente la base imponibile per l’imposta sostitutiva, laddove indicare quei contributi nel Quadro RP potrebbe risultare inutile, in assenza di altri redditi soggetti ad IRPEF. Senza contare, poi, la deducibilità  dei medesimi contributi anche ai fini del calcolo della base imponibile dell’IRAP.

àˆ da notare che anche in presenza di pronunce di segno analogo da parte della Suprema Corte (per esempio, nella sentenza 2781/2001) e dei giudici di merito, negli anni passati l’Agenzia delle Entrate ha continuato a difendere la propria posizione (si veda, fra l’altro, la risoluzione 77/2007). Ci sarà  da vedere se il nuovo pronunciamento della Consulta avrà  o meno conseguenze sull’orientamento degli organi dell’Amministrazione Finanziaria.