In principio fu la riforma Maroni: per far fronte ai crescenti aggravi e difficoltà di sostenibilità nel tempo del sistema pensionistico, si previde di elevare i requisiti anagrafici di accesso al pensionamento ricorrendo all’ormai famoso “scaloneâ€, ossia l’incremento dal 2008 di ben tre anni di età in un colpo solo.
Ritenendo questa soluzione troppo penalizzante, il successore al Ministero del Welfare, Cesare Damiano, scelse di abolire lo “scalone “ e di sostituirlo con i cosiddetti “scaliniâ€, ossia un incremento graduale nel tempo dei requisiti anagrafici.
àˆ ormai imminente la presentazione da parte del ministro Brunetta del progetto di riforma del sistema pensionistico dei dipendenti pubblici, per rispondere alla sentenza della Corte di Giustizia europea che ha imposto la pari età pensionabile fra uomini e donne (attualmente fissata a 65 e 60 anni); ed èpalese che una rivisitazione del sistema pubblico, per motivi costituzionali di uguaglianza, dovrà essere estesa anche al settore dei dipendenti privati.
Con la circolare n. 108 del 10 dicembre, l’INPS ha finalmente chiarito i termini di una novità introdotta nel nostro ordinamento con la manovra d’estate (legge 133/2008) e che diventerà operativa a partire dal 1° gennaio.
Dal 2009 in avanti, infatti, vengono meno i limiti alla cumulabilità dei redditi di pensione con qualunque forma di reddito da lavoro: dipendente, parasubordinato e autonomo. L’INPS ha chiarito la portata dell’innovazione, e ha precisato anche alcuni limiti di cui si dovrà tenere conto.
La notizia èpassata forse inosservata, ma non c’ dubbio che la sentenza della Corte di Giustizia depositata lo scorso 13 novembre abbia fatto venire i sudori freddi al Ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Il principio fissato dai giudici comunitari èdi quelli destinati a fare storia: non èammissibile che uomini e donne vadano in pensione ad età differenti.
Secondo l’attuale normativa, i dipendenti pubblici di sesso maschile raggiungono l’età per la pensione di vecchiaia a 65 anni e le donne a 60. Poichè perಠa versare le pensioni èlo Stato (tramite l’apposito ente previdenziale, l’INPDAP), esse sono da considerarsi a tutti gli effetti come retribuzioni.
La UE infatti ritiene di carattere retributivo ogni somma che un datore di lavoro eroga all’ex dipendente alla cessazione del rapporto di lavoro. E poichè nel caso in questione, lo Stato riveste sia il ruolo di datore che di erogatore delle somme, la pensione dei dipendenti pubblici èa tutti gli effetti una forma di retribuzione. E ovviamente non èconsentito stabilire discriminanti fra uomini e donne nel percepire una retribuzione, nemmeno per questioni di età .
La pensione èuna rendita vitalizia per tutti quei lavoratori che siano in possesso di specifici requisiti e che abbiano raggiunto i determinati limiti di età .
Ultima normativa che disciplina la riforma pensionistica èla LEGGE 23 agosto 2004, n. 243.
La pensione spetta ai lavoratori dipendenti pubblici o privati, ai liberi professionisti e lavoratori autonomi che abbiano raggiunto il prescritto limite di età (età pensionabile) e abbiano versato all’apposito ente di previdenza le relative contribuzioni nella misura e per il tempo previsti.
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