
Al momento in cui scriviamo, però, tale decreto non è ancora uscito in Gazzetta Ufficiale e gli ennesimi aggiustamenti dell’ultima ora non sono affatto da escludersi. Gli operatori rimangono così ancora nel dubbio di cosa fare nelle prassi operative di tutti i giorni.
Uno dei problemi principali riguarda l’obbligo di autofatturazione dei servizi. Nelle ipotesi che un fornitore intracomunitario presti un servizio ad un committente soggetto passivo italiano e l’operazione, secondo i nuovi criteri, sia localizzata nel nostro Paese, il contribuente nostrano è tenuto ad emettere un’autofattura in unica copia, nella quale riproduce gli elementi essenziali della fattura ricevuta dal fornitore estero (dati anagrafici, numero di partita IVA di entrambi, tipologia di servizio e base imponibile) a cui applicare “virtualmente†l’imposta sul valore aggiunto.
Tale autofattura andrà rilevata nei registri delle fatture emesse e degli acquisti, affinché l’imposta, apparendo contemporaneamente a debito e a credito, sia neutralizzata.
È facile comprendere che, soprattutto per coloro che si interfacciano continuamente con fornitori esteri, l’obbligo dell’autofatturazione è piuttosto impegnativo. In sede di esame parlamentare della nuova disciplina, si era ipotizzato di alleggerirla immaginando per i servizi la medesima norma già prevista per gli acquisti intracomunitari di beni, e cioè l’integrazione manuale della fattura straniera con i dati sull’imposta.
Questa soluzione è poi stata stralciata dal Governo, che sembra dunque puntare con decisione sulla soluzione dell’autofatturazione. Sennonché, nel corso del recente evento multimediale “Telefiscoâ€, l’Agenzia delle Entrate si è dichiarata possibilista sull’ammissibilità della procedura dell’integrazione, in alternativa all’autofatturazione.
E, in mezzo a tanta confusione, da settimane gli operatori rimangono in attesa di certezze.