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Paradisi fiscali, nella lista OCSE restano in ventidue

La blanda lotta attuata negli anni dai Paesi occidentali contro i cosiddetti “paradisi fiscali” ha subito un’accelerazione impetuosa nei mesi pi๠acuti della crisi finanziaria mondiale.
In particolare, ha assunto un’importanza centrale la strategia messa a punto dall’OCSE.

L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, infatti, ha dato una definizione oggi riconosciuta universalmente di paradiso fiscale: uno Stato o un territorio autonomo dove l’imposizione tributaria ènulla o molto modesta, in cui non occorre svolgere un’effettiva attività  economica per le imprese che vi si stabiliscono e che si oppongono a reciproci scambi di cooperazione fiscale con le autorità  di altre nazioni.


L’OCSE ha anche stabilito un modello di accordo fra gli Stati, definito con l’acronimo “Tiea”. Per uscire dalla lista dei paradisi fiscali, un Paese deve, fra le altre cose, stipulare almeno dodici Tiea con altre nazioni; e negli ultimi mesi, di Tiea ne sono stati stipulati centinaia in tutto il mondo. Sempre pi๠territori hanno infatti cercato l’accordo con le potenze economiche per evitare l’isolamento e la rovina finanziaria.

San Marino, il Principato di Monaco, le isole Cayman, le Bahamas, Singapore, la Svizzera e tanti altri Stati sono cosଠrecentemente stati depennati dalla cosiddetta “grey list” dell’OCSE. Nella lista grigia dei paradisi fiscali, dunque, oggi restano ancora ventidue Paesi, anche se forse nei prossimi mesi ci sarà  qualche altra defezione.


L’area di maggiore localizzazione èquella centroamericana e caraibica: sono nella grey list il Belize, il Costa Rica, il Guatemala, Panama e le isole di Anguilla, Dominica, Grenada, Montserrat, St. Kitts & Nevis, St. Lucia e St. Vincent & Grenadine.
Segue l’Oceania, con le isole Cook, le Marshall, Nauru, Niue e Vanuatu. Qua e là  per il pianeta, infine, troviamo Brunei, le Filippine, la Liberia e l’Uruguay.