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Certificato gravidanza in ritardo non esclude indennità 

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La presentazione del certificato di gravidanza da parte della lavoratrice oltre il settimo mese non comporta la perdita del diritto ad ottenere il pagamento della relativa indennità  da parte dell’Inps.

A stabilirlo èstata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10180 dello scorso 30 aprile, con la quale èstata giudicata la decisione dell’Inps di detrarre dall’indennità  di maternità  spettante alla lavoratrice una parte della somma, relativa al quarto mese successivo al parto, ritenendo che questa non poteva fruire del cosiddetto periodo flessibile di maternità .


Sia i giudici di primo grado che quelli di secondo grado hanno dato ragione alle lavoratrice, di qui la decisione dell’Inps di ricorrere in Cassazione, ma anche in questo caso senza ottenere esito positivo. La Suprema Corte ha infatti sancito l’obbligo a carico dell’Inps di versare a favore della lavoratrice l’intera indennità  di maternità , quindi anche la quota relativa al quarto mese successivo al parto.

Al riguardo, in particolare, la Corte ha affermato che il ritardo nella presentazione delle certificazioni comporta che il lavoro nell’ottavo mese èstato svolto in violazione del divieto di legge, con le conseguenze previste dal testo unico, mentre al contrario non comporta conseguenze sulla misura della indennità  di maternità  a carico dell’Inps.

Riguardo alla flessibilità  del congedo di maternità , invece, la Cassazione ha citato l’art. 20 del testo unico sulla maternità  e la paternità  (decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151), il quale stabilisce che, ferma restando la durata complessiva del congedo di maternità , le lavoratrici hanno la facoltà  di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, a condizione che il medico specialista attesti che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.