
L’invasione della produzione cinese preoccupa tantissimo i produttori locali, che denunciano la concorrenza sleale ai loro danni. A loro sostegno, tesi non certo inedite, come lo sfruttamento da parte delle aziende cinesi di manodopera locale a scarsissimo costo nonché l’impiego di pericolosi conservanti chimici che da noi sono vietati.
La conseguenza è che sui mercati internazionali il pomodoro cinese costa 541 euro a tonnellata contro i 945 euro del pomodoro europeo.
E c’è un ulteriore elemento: il prodotto arriva principalmente sotto forma di semilavorato e trasformato in prodotti finiti da parte di imprese italiane importatrici, che possono così rivendere sughi, ragù e passati con il marchio “made in Italyâ€. Cosa perfettamente ammissibile, poiché nelle etichette occorre indicare dove si trova lo stabilimento di lavorazione e non il luogo di provenienza della materia prima. Così, anche i consumatori che in buona fede vorrebbero tutelare il prodotto italiano (ed essere garantiti sulla propria salute), rischiano di prendere solenni cantonate.
Contro questo stato di cose è intervenuta con forza la Coldiretti. L’associazione richiede a gran voce un intervento delle istituzioni comunitarie, perché vengano incrementati sensibilmente i dazi contro i pomodori cinesi: in generale, la tendenza è quella di abbassare nel tempo le barriere doganali fra l’Europa e la Cina per favorire l’insediamento dei nostri imprenditori in Oriente, ma per la Coldiretti la situazione dei pomodori è tale da richiedere urgenti misure difensive a tutela degli agricoltori comunitari.