Se una società risulta “di comodo” al test di operatività, non subisce conseguenze solo dal punto di vista dell’imposta sul reddito..

La finalità è quella di contrastare le indebite compensazioni dell’imposta sul valore aggiunto, soggette negli anni a numerose norme di contrasto.
In particolare, è stabilito che le società che risultano non operative non possono né richiedere a rimborso l’eventuale credito IVA che dovesse emergere in dichiarazione, né compensarlo con altre imposte o contributi previdenziali all’interno del modello F24.
L’unica possibilità di impiego di tale credito, dunque, è solo nelle compensazioni interne, e cioè nelle liquidazioni periodiche della stessa IVA. È anche ammessa la compensazione esterna, in F24, ma solo con IVA a debito (per le altre imposte, come detto, non è possibile).
Il divieto che incombe sul credito IVA lo riguarda per intero. Non ha alcuna rilevanza, infatti, se esso è costituito, in tutto o in parte, da crediti sorti in periodi d’imposta precedenti.
La limitazione descritta rimane in vigore per tutti gli esercizi in cui rimane la condizione di non operatività: quando questa venisse meno, il credito tornerà liberamente compensabile o rimborsabile.
Ma c’è un’altra norma da considerare: se la società dovesse risultare non operativa per tre esercizi consecutivi e se durante gli stessi non fatturasse operazioni rilevanti ai fini IVA per ammontare pari almeno ai ricavi presunti determinati col test di operatività, il credito IVA è completamente azzerato, perduto per sempre.
In presenza di circostanze oggettive, però, è possibile chiedere la disapplicazione di tale norma presentando istanza di interpello, secondo la procedura già descritta in un precedente articolo.