Come per tutte le procedure concorsuali, un imprenditore può essere ammesso al concordato preventivo solo se esercita un’attività commerciale..

È bene ricordare che tutte le attività d’impresa sono considerate commerciali quando non sono definibili come agricole (ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile), e che le società sono sempre imprese commerciali, qualunque sia l’attività esercitata, ad eccezione delle società semplici, che infatti non sono sottoponibili ad alcuna procedura concorsuale.
È poi necessario che non si tratti di un “piccolo imprenditoreâ€. Secondo l’attuale versione dell’articolo 1 della legge sul fallimento, il piccolo imprenditore è colui che rispetta congiuntamente tre condizioni: l’attivo patrimoniale non supera trecentomila euro; la media dei ricavi lordi annui nell’ultimo triennio (o, se l’azienda è nata da meno di tre anni, dalla data di avvio) non supera duecentomila euro; i debiti complessivi, scaduti e non scaduti, non superano cinquecentomila euro.
Non ha importanza se si tratta di ditte individuali o società .
L’imprenditore commerciale non piccolo può richiedere l’ammissione al concordato preventivo qualora versi in stato di crisi.
È da notare la fondamentale differenza rispetto alla normativa previgente, in cui si parlava di “stato d’insolvenzaâ€: mentre quest’ultima definizione concerne un’ipotesi di sostanziale impossibilità di far fronte a tutte le obbligazioni, lo stato di crisi è una situazione più generica e meno stringente, che può concernere non solo difficoltà irreversibili ma anche un meno traumatico stato di difficoltà temporanea a soddisfare i creditori, a cui però può conseguire, se le cose non girano nel verso sbagliato, una piena e sana ripresa dell’attività economica.
Vi è, infine, un’ultima condizione: occorre presentare un piano di risanamento dalle difficoltà in corso, sulle cui caratteristiche ci soffermeremo nel prossimo articolo.