
Essi, dunque, non devono registrare né gli acquisti né le cessioni, limitandosi a conservare le fatture e gli altri documenti e ad esibirli a richiesta delle autorità finanziarie (nulla vieta, ovviamente, che essi decidano spontaneamente di tenere ugualmente le scritture contabili); non devono compiere le liquidazioni periodiche (mensili o trimestrali) né versare l’acconto di dicembre; non devono presentare la dichiarazione IVA né la comunicazione annuale dei dati rilevanti.
La legge istitutiva prevedeva poi l’esonero dall’invio degli elenchi clienti/fornitori, ma in realtà quest’obbligo è stato successivamente abrogato per tutti.
Può capitare che al momento del passaggio al regime dei “minimiâ€, vi siano ancora delle operazioni pendenti con IVA ad esigibilità differita. La legge, infatti, stabilisce che normalmente l’IVA sulle operazioni attive è dovuta al momento dell’emissione della fattura salvo alcune ipotesi in cui il debito è posposto al momento dell’incasso.
Al momento del varo della legge sui contribuenti minimi, le ipotesi tipiche erano circoscritte alle cessioni verso enti pubblici oppure per alcune tipologie di prodotti farmaceutici; in seguito, però, è entrato in gioco il meccanismo generalizzato dell’IVA per cassa, estendendo enormemente la platea delle operazioni interessate.
Ebbene, è stabilito che tutte le operazioni ad esigibilità differita ancora pendenti si considerano scadute al 31 dicembre del periodo successivo a quello in cui si diviene “minimiâ€: dunque, i relativi debiti d’imposta saranno conteggiati in occasione dell’ultima dichiarazione IVA riferita al periodo immediatamente precedente a quello di adesione al “forfettoneâ€.
E sempre a proposito dell’ultima dichiarazione, può avvenire che essa si chiuda con un saldo a credito: esso può essere impiegato in compensazione con altri tributi all’interno del Modello F24 oppure richiesto a rimborso (se sono rispettate le condizioni richieste).