Le posizioni ricoperte sono, bene precisarlo, per lo più di bassa manovalanza: camerieri, lavapiatti, commessi e così via.
Un aspetto interessante e che dà da pensare è relativo alla durata del contratto. Per legge, i contratti di lavoro intermittente possono essere stipulati a tempo determinato o indeterminato; e, contrariamente a quanto è facile immaginare, sono i contratti a tempo indeterminato a fare la parte del leone, occupando il 55% del numero totale, contro il 45% dei job-on-call a termine. Sono per lo più le aziende industriali, edilizie e di trasporti quelle a voler “legare†senza limiti di tempo i lavoratori a chiamata, mentre alberghi e ristoranti prediligono i rapporti limitati nel tempo.
In ogni caso, si segnala come spesso il contratto di lavoro intermittente costituisca il primo gradino in vista di un successivo e più solido ingresso stabile nel mondo del lavoro. D’altronde, i lavoratori che accettano tali rapporti contrattuali (che, per ovvi motivi, dal lato del dipendente sono poco appetibili) sono studenti, disoccupati di lungo corso e altre figure fragili.
Per quanto, infine, riguarda la distribuzione geografica, è il Nord-Est la macroregione più interessata, con oltre il 41% dei contratti (20% nel solo Veneto). Diffusione minore ma comunque in crescita fra Nord-Ovest e Centro, mentre tale strumento contrattuale è quasi sconosciuto nel Sud (9% dei contratti) e nelle Isole (2%).
Fonte: Il Sole 24 Ore