Meno di venti giorni per la comunicazione dati IVA

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L’IVA èun’imposta di origine comunitaria, e buona parte del suo gettito èdestinato a finanziare le casse dell’Unione Europea.

Poichè la UE ha urgente necessità  di sapere, almeno in termini generali, quali importi proverranno da ogni singolo Stato in relazione ad ogni anno appena concluso, e poichè perಠi dati definitivi si possono avere solo con la dichiarazione IVA, che quasi tutti i contribuenti italiani presentano in estate all’interno del Modello UNICO, la soluzione adottata dall’Italia per conciliare questi due problemi èstata quella di istituire la comunicazione dati.

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Si chiude la querelle sulle quote-latte

Gli accordi faticosamente negoziati a Bruxelles sono oggi sanciti da un decreto-legge appena emanato dal Consiglio dei Ministri: l’annosa questione delle quote-latte, su cui da decenni si registra una contesa fra gli allevatori italiani e le ferree regole dell’Unione Europea, sembra ormai puntare verso la risoluzione definitiva.

Come noto, l’Europa impone dei limiti massimi alla produzione di latte per evitare il crollo dei prezzi legato alla sovrapproduzione. Lo Stato italiano ha dovuto pagare negli anni svariati miliardi di euro legati alle multe provenienti da Bruxelles a causa delle continue violazioni degli allevatori, multe che poi lo Stato ha addebitato agli stessi imprenditori: da qui, le infinite battaglie a colpi di cortei guidati dall’indimenticabile mucca Ercolina.

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Dieci anni con l’euro

Il primo gennaio 1999, la moneta unica europea cambiava nome, trasformandosi da ECU in euro, e soprattutto assumeva un ruolo effettivo e non pi๠puramente virtuale nelle economie dell’Europa e del mondo.

Per i primi tre anni l’euro veniva utilizzato solo contabilmente, per le quotazioni sui mercati, sui bilanci, sui conti correnti. Dal 2002, invece, èdivenuta la moneta reale che pesa ancora oggi nelle nostre tasche e in quelle dei cittadini di altri quindici Stati comunitari (l’ultimo aderente, la Slovacchia, èntrato nel club nel 2009) e di altri Paesi dove esso si usa comunque in virt๠di accordi internazionali, come San Marino.

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Dalla UE un monito forte sulle pensioni

Pensione

La notizia èpassata forse inosservata, ma non c’ dubbio che la sentenza della Corte di Giustizia depositata lo scorso 13 novembre abbia fatto venire i sudori freddi al Ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Il principio fissato dai giudici comunitari èdi quelli destinati a fare storia: non èammissibile che uomini e donne vadano in pensione ad età  differenti.

Secondo l’attuale normativa, i dipendenti pubblici di sesso maschile raggiungono l’età  per la pensione di vecchiaia a 65 anni e le donne a 60. Poichè perಠa versare le pensioni èlo Stato (tramite l’apposito ente previdenziale, l’INPDAP), esse sono da considerarsi a tutti gli effetti come retribuzioni.
La UE infatti ritiene di carattere retributivo ogni somma che un datore di lavoro eroga all’ex dipendente alla cessazione del rapporto di lavoro. E poichè nel caso in questione, lo Stato riveste sia il ruolo di datore che di erogatore delle somme, la pensione dei dipendenti pubblici èa tutti gli effetti una forma di retribuzione. E ovviamente non èconsentito stabilire discriminanti fra uomini e donne nel percepire una retribuzione, nemmeno per questioni di età .

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