Per loro, anzi, gli acquisti e cessioni di tali beni sono “fuori campo†IVA, e non devono nemmeno comparire in dichiarazione. Chiaramente, l’onere dell’imposta ricade sul consumatore finale, che acquistando il prodotto rimborsa l’imposta alla casa editrice.
Ma esattamente, il discorso a quali beni si applica? A tutti i prodotti editoriali, con specifico riferimento a quotidiani, periodici, libri e cataloghi. Esistono dettagliatissime circolari che specificano quali beni rientrino in una di queste categorie e quali no.
A tutti questi prodotti si applica l’aliquota IVA ridotta (4%), tranne per le riviste pornografiche e per i cataloghi diversi da quelli di informazione libraria, in cui l’aliquota èquella ordinaria (20%).
Cosicchè, se il prezzo di vendita di un quotidiano fosse pari a € 1,04, ciಠsignificherebbe che l’imposta èpari a quattro centesimi, e quindi che per l’editore matura un debito d’imposta di quattro centesimi ogni copia venduta.
Le copie vendute, naturalmente, sono pari alla differenza fra quelle stampate e le rese. Queste ultime si potrebbero calcolare una per una ma per motivi pratici la legge consente di considerare un valore forfettizzato (70% per i libri e 80% per quotidiani e periodici, mentre per i cataloghi non èammesso il calcolo forfettario).
E l’editore chi à¨, esattamente? Si puಠdefinire genericamente come colui che assume il rischio d’impresa per la commercializzazione dei prodotti editoriali; se si tratta di pubblicazioni provenienti dall’estero, lo si identifica con l’importatore.