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Lavorare all’estero: la residenza fiscale

In merito al requisito della residenza, la regola fiscale valevole in Italia èla stessa applicata in moltissimi altri Paesi del mondo: i soggetti residenti in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta sono tassati per i redditi ovunque prodotti nell’anno, mentre i non residenti sono tassati solo per i redditi prodotti nel nostro Paese.


Pertanto, per fare un esempio, l’operaio che va a lavorare su una piattaforma petrolifera in Nigeria oppure il manager chiamato da una società  inglese continueranno ad essere tassati in Italia se qui mantengono la residenza fiscale.

àˆ bene chiarire cosa si intende, dal punto di vista fiscale, con “residente in Italia”: sono considerati tali coloro che hanno mantenuto la residenza anagrafica in Italia oppure che, pur avendola cancellata, non si sono iscritti all’AIRE (l’anagrafe dei residenti all’estero).

Sono inoltre considerati residenti in Italia coloro che, pur avendo soddisfatto gli adempimenti burocratici citati, hanno di fatto mantenuto il centro dei loro interessi (familiari, professionali, economici…) in Italia, al punto da far ragionevolmente ritenere che il trasferimento all’estero sia in realtà  puramente fittizio e fatto proprio per sfuggire al Fisco italiano.


L’Agenzia delle Entrate puಠutilizzare ogni genere di indizi per dimostrare che il cambio di residenza èin realtà  fasullo, a partire dalle bollette della corrente elettrica o del telefono che dimostrano che la casa italiana ètuttora abitata, oppure movimentazioni del conto corrente bancario tramite operazioni allo sportello, o l’iscrizione alla palestra.

Puಠinoltre capitare che un soggetto trasferisca la sua residenza da o verso l’Italia nel corso dell’anno. Come già  accennato, in tal caso si fa riferimento “alla maggior parte del periodo d’imposta”, ossia 183 giorni: chi, nell’anno, ha risieduto 183 giorni in Italia e 182 all’estero, ètassato da noi per l’intero anno.

Leggi anche l’articolo su come dimostrare la residenza in un paradiso fiscale.