La Costituzione stabilisce che tutti devono concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva..

In realtà , fra le varie categorie di tributi, solo le imposte riescono a riflettere la capacità contributiva dell’individuo o dell’ente. Il gettito delle imposte, però, supera in misura schiacciante quello delle tasse e degli altri tributi, e quindi il precetto costituzionale si può ritenere sostanzialmente rispettato.
Il presupposto perché si applichino le imposte è dato dal verificarsi di un presupposto che sia indice della fantomatica “capacità contributivaâ€. Ed è su questa base che si può tracciare la fondamentale distinzione fra le imposte dirette e le imposte indirette.
Le imposte dirette colpiscono la capacità contributiva del soggetto passivo per il fatto stesso di esistere. Egli percepisce un reddito oppure dispone di un patrimonio, e quindi, qualunque cosa egli faccia o non faccia, è titolare di capacità contributiva. Ecco dunque le imposte che colpiscono il suo reddito (IRPEF e IRES, insieme alle addizionali e alle numerosissime sostitutive) e quelle che colpiscono il suo patrimonio (come l’ICI e l’imposta di successione).
Le imposte indirette, invece, colpiscono la capacità contributiva nel momento in cui essa si manifesta. L’esempio classico è l’IVA: nessuno mi obbliga a comprare, poniamo, un’automobile; ma se io decido liberamente di comprarla, significa che dispongo di capacità contributiva e subisco l’imposta. L’IVA colpisce i consumi, mentre altre imposte indirette hanno come presupposto il trasferimento di beni, gli affari ecc.
Gli esempi più comuni sono l’imposta di registro, le imposte ipo-catastali, l’imposta di bollo, l’imposta sulle assicurazioni, l’imposta sugli intrattenimenti.
Caso a parte, infine, è l’IRAP: ha un presupposto così peculiare e, per certi versi, così sfuggente che tuttora gli studiosi sono indecisi se considerarla imposta diretta o indiretta.