Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi stabilisce in maniera molto dettagliata a quale periodo d’imposta i singoli ricavi, costi od oneri vadano assegnati..

Per esempio, un agente di commercio matura il diritto all’intera provvigione al momento in cui contribuisce a stipulare il contratto fra il preponente e il cliente.
Perciò, se il contratto è stipulato il 22 dicembre 2010 e ha effetto dal 7 gennaio 2011, l’intera provvigione spetterà all’agente nel periodo d’imposta 2010, e questo permane anche se venisse materialmente incassata nel 2012.
Cosa avviene se il contribuente, sbagliando la competenza temporale, sottrae redditi o aggiunge costi al periodo d’imposta errato? Se l’Agenzia delle Entrate, a seguito di un controllo, rettifica la dichiarazione, è naturale che il maggior debito d’imposta che ne risulterà andrà saldato, maggiorato di interessi e sanzioni. Ma cosa accade della componente reddituale eliminata dal periodo in cui era stata imputata?
Negli anni, il parere dell’Agenzia delle Entrate è stato oscillante. L’ultima circolare dell’Agenzia (la n. 23/2010), però, appare ora definitiva, poiché ricalca la sentenza della Corte di Cassazione n. 16023/2009.
In pratica, è stabilito questo. Se un costo è imputato al periodo d’imposta sbagliato, il contribuente ha diritto ad imputarlo al periodo giusto correggendo la dichiarazione dei redditi già presentata, se si è ancora in tempo (il termine ultimo è la data finale di presentazione della dichiarazione dell’anno dopo).
Se invece questo termine è passato, si può presentare un’istanza di rimborso. Tale istanza va presentata entro due anni dal giorno in cui la decisione sull’errata imputazione è divenuta definitiva: quando cioè la sentenza della magistratura è passata in giudicato oppure il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate è divenuto non più impugnabile.