Nel mondo anglosassone sta facendo discutere un saggio scritto da un giornalista del Financial Times, Richard Donkin..

Guardandosi intorno, interpellando impiegati e manager, studiando l’evoluzione delle nuove tecnologie, Donkin ha tratto una serie di conclusioni molto interessanti.
La più significativa è il progressivo crollo di ogni barriera fra tempo di lavoro e tempo libero. L’esasperata flessibilità spingerà la maggior parte dei lavoratori a veder scomparire rigidi orari e cartellini da timbrare, mentre sarà sempre più necessario tenersi pronti a mettersi all’opera anche nel presunto tempo libero e nei giorni festivi: dunque, cellulare sempre acceso e collegamento alla rete disponibile in ogni momento.
E, sempre per motivi analoghi, potrà anche capitare che il carico di lavoro vari sensibilmente da un giorno all’altro: si potranno magari dedicare dieci ore il lunedì e cinque il martedì, a seconda delle effettive esigenze.
Ma non basta: i lavori di routine saranno affidati sempre di più alle macchine, così si libererà spazio per la fantasia e l’intuito di ognuno. Saper, anzi, riconoscere, valorizzare e mettere a frutto le capacità innovative di ogni dipendente costituirà un fattore di competitività .
I lavoratori finiranno per essere non più un numero ma avranno un ruolo e uno spazio individuale ritagliato su misura: non saranno più liberamente interscambiabili, anche se la capacità di integrarsi e lavorare in team rimarrà basilare. In questo quadro, i sindacati perderanno notevolmente la capacità di rappresentare la forza-lavoro.
In senso inverso, anche il tempo libero finirà per invadere gli spazi del lavoro: inevitabile portarsi i bambini in azienda o passare in tintoria fra una relazione e una telefonata.
Va notato come queste innovazioni (culturali prima ancora che legislative) avvicineranno in maniera sensibile il lavoro dipendente a quello autonomo.