
Se le alternative classiche rimangono due (il cassonetto dei rifiuti oppure la donazione alle associazioni di volontariato), esiste una terza strada che a poco a poco si sta rivelando un’astuta mossa di marketing: si tratta della cosiddetta “rottamazione dell’usatoâ€, termine in realtà quasi sempre usato impropriamente.
La rottamazione propriamente detta, infatti, riguarda la compravendita di mezzi di trasporto, normalmente incoraggiata da incentivi statali: tuttavia, le frequenti operazioni di sapore analogo avviate dai negozi di elettronica, di abbigliamento o di calzature hanno finito per acquisire di fatto lo stesso nome.
In pratica, i commercianti chiedono ai cittadini di portar loro i vecchi prodotti, offrendo in cambio dei buoni-sconto da spendere nel proprio negozio.
Com’è facile intuire, è rarissimo che i venditori siano veramente interessati agli oggetti usati portati dai clienti, che anzi finiscono spesso per raggiungere il cassonetto più vicino: si tratta di mere operazioni promozionali, il cui vero scopo è spingere i clienti più riluttanti a rinnovare il guardaroba, l’arredamento o gli elettrodomestici.
Non a caso, d’altronde, si tratta solitamente di operazioni limitate nel tempo (al fine di convincere gli italiani a non lasciarsi scappare l’occasione entro la scadenza) e concentrate nei mesi dell’anno in cui le vendite più ristagnano.
Ma non è dappertutto così: alcuni negozi, per esempio, riciclano davvero i videogiochi o i mobili in buono stato, riservando una parte dei propri locali alla rivendita a basso prezzo dei beni usati.