La fase di avvio di un’impresa si suddivide, a sua volta, in tre sotto-fasi. La prima è definita “seed†(“seminaâ€), ed è quella..

Lo “start-up†(“avvio†in senso stretto) è invece la fase in cui si compiono soprattutto investimenti in capitale fisso (immobili, arredamento, computer ecc.), mentre nel “first stage†(“primo sviluppoâ€) si acquistano prevalentemente materie da impiegare nei processi produttivi o merci da rivendere.
I ricavi, in queste occasioni, sono molto ridotti, sia pure a poco a poco tendano a crescere, e dunque essi non solo non sono sufficienti a garantire un autofinanziamento ma sono decisamente al di sotto dei costi che si sostengono.
D’altro canto, un altro fattore incide notevolmente: la scarsa esperienza dell’imprenditore, che ancora deve imparare i segreti del mestiere. Le inefficienze, le debolezze produttive, il marketing ancora tutto da sviluppare, comportano necessariamente come conseguenza inevitabile un elevato livello di costi e ricavi più modesti.
La conclusione è persino scontata: vi è un consumo di risorse finanziarie e non certo una loro produzione.
Non potendo produrre risorse internamente, l’impresa deve coprire il suo fabbisogno ricorrendo all’esterno.
E tuttavia, la sua fragilità rende difficili e tormentati i rapporti con le banche, che non saranno disposte a concedere credito alle piccole imprese ancora agli inizi, o come minimo a pretendere interessi molto elevati.
La fase di avvio, dunque, si caratterizza per il grosso impiego di capitale proprio: impensabile, perciò, pensare di aprire un’impresa se non si hanno grossi capitali da parte, a meno di non accettare di pagare interessi spesso spropositati ai finanziatori esterni.