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Cosa c’entra il referendum trivelle con il lavoro

Alcune aziende che sono interessate alla produzione di petrolio fanno notare che la questione delle trivelle non ècerto legata all’aumento delle bollette nel caso dovesse vincere il Sà¬. Infatti dal mare si ottengono pochi barili. A dire no al referendum sono infatti e soprattutto i sindacati che ne fanno una questione lavorativa. 

In pratica si dovrebbe andare a votare no per evitare che tante persone che lavorano già  sulle trivelle esistenti, non perdano il posto di lavoro, trascurando il fatto che forse, i lavoratori del mare, sono molti di pi๠di quelli che stanno sulle piattaforme e anche gli altri lavoratori andrebbero ascoltati. Probabilmente gli “altri” lavoratori del mare sono liberi professionisti e per questo non troppo all’attenzione dei sindacati.

trasporto merci su mare

Un recente articolo di Repubblica prova a chiarire i termini del dibattito. Il sottotitolo del pezzo a firma di Giuliano Balestrieri, spiega bene la posizione delle aziende:

I giacimenti entro le 12 miglia garantiscono un apporto limitato alla produzione nazionale e le stesse società  coinvolte, da Eni e Edison, non temono l’effetto del voto: “La vittoria del sଠavrebbe un impatto risibile su conti e bolletta energetica”.

àˆ per questo che poi bisogna approfondire la questione lavorativa prima di quella energetica. Ci hanno pensato i sindacati ed ecco cosa riporta in proposito Repubblica.it.

I sostenitori del no si appellano alle conseguenze sull’occupazione sostenendo che una vittoria del sଠcauserebbe migliaia di disoccupati. Si tratta perಠdi supposizioni non confortate da alcun riscontro fattuale dal momento che non esiste alcun dato preciso sugli occupati nelle piattaforme offshore entro le 12 miglia: non lo hanno nè i sindacati nè l’Assomineraria. L’associazione del settore sostiene che l’attività  estrattive impiega 10mila persone in tutta Italia che arrivano a 29mila con l’indotto esterno al segmento. Difficile, perà², quantificare, quanti perderebbe il posto anche perchè come detto le chiusure sarebbero graduali nell’arco di 16 anni. A L’Espresso il vicesindaco di Ravenna, Gianantonio Mingozzi, ha spiegato che nel distretto della città  emiliana verrebbero a mancare circa 3.000 posti di lavoro rispetto a oggi.