
Senza scendere in tutte le casistiche (la guida di Fisco Oggi esegue una trattazione di carattere quasi enciclopedico), è possibile comunque trarre alcune considerazioni generali.
In linea di massima, la produzione musicale è una forma di arte. In questo senso, coloro che, a qualunque titolo, percepiscono compensi in questo ambito sono da considerarsi lavoratori autonomi, ossia esercenti di arti e professioni, né più né meno di avvocati, dentisti o pittori.
Sono pertanto loro applicabili tutte le consuete norme tributarie proprie degli autonomi. Questo, ovviamente, se il reddito non è percepito sotto forme differenti: se l’utilizzo di beni strumentali fosse vasto e superiore alla norma oppure avessimo la costituzione di una società , avremmo un reddito da impresa; se il musicista fosse inquadrato come lavoratore subordinato o in una forma assimilata, avremmo reddito da lavoro dipendente.
Infine, se le prestazioni musicali non fossero esercitate in forma professionale, e dunque organizzata e continuativa, bensì in forma occasionale, avremmo una delle tante tipologie inserite nella categoria residuale dei redditi diversi.
Queste distinzioni sono tutt’altro che meramente formali: le conseguenze sul calcolo della base imponibile e sulle modalità di tassazione può variare in maniera radicale.
Oltre a queste considerazioni di carattere complessivo, la guida citata affronta nel dettaglio alcuni argomenti specifici: lo sfruttamento dei diritti d’autore; le agevolazioni per cori e bande dilettantistiche; le associazioni fra musicisti; l’applicazione del regime agevolato per i contribuenti minimi; la tassazione degli artisti non residenti in Italia.