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La doppia contabilità  fa prova nel processo penale

Moltissimi contribuenti “dimenticano” spesso di indicare parte dei redditi nella propria contabilità  e quindi in dichiarazione. Una gran parte di loro, perà², per non perdere il controllo della gestione finanziaria ed economica dell’azienda, tiene comunque nota di queste operazioni nascoste, sul computer o anche in appunti scritti a mano e conservati nel cassetto dell’ufficio.


Alla prova dei fatti, tuttavia, non si rivela spesso come una mossa astuta, soprattutto quando l’ufficio subisce le verifiche della Guardia di Finanza. La doppia contabilità , o contabilità  nera, èuna prova formidabile del fatto che qualcosa non va nelle dichiarazioni del contribuente e fornisce le tracce pi๠adatte per ricostruire il reddito reale.

La doppia contabilità , perà², non comporta le sue conseguenze solo in ambito tributario ma puಠavere anche risvolti penali.

Si parla di “dichiarazione infedele” quando i dati indicati sono falsificati o gonfiati per abbattere il reddito imponibile. La dichiarazione infedele costituisce reato sanzionato penalmente quando sono superate congiuntamente due soglie: la singola imposta evasa supera € 103.291,38 e gli elementi dell’attivo sottratti ad imposizione sono pari al 10% del totale o comunque superano € 2.065.827,60.

Il gestore di un fiorente night-club, condannato per dichiarazione infedele sia in primo che in secondo grado, era ricorso in Cassazione con la motivazione che la condanna non si era basata su prove sufficienti.


La Suprema Corte, perà², ha rigettato il ricorso confermando il verdetto d’appello (con la sentenza n. 48148/2009); e questo proprio perchè era stata rinvenuta nel computer dell’imprenditore un’ampia documentazione extra-contabile, pi๠che sufficiente per suffragare l’accusa di dichiarazione infedele anche in campo penale.

Ricostruendo la vera situazione dell’imprenditore, infatti, si era scoperto che i ricavi dichiarati (560.135.250 lire) erano di gran lunga inferiori all’effettivo (2.749.409.750 lire).