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I doveri del lavoratore: l’obbedienza e la fedeltà 

lavoratore-obbediente

L’articolo 2086 del Codice Civile stabilisce a chiare lettere che “l’imprenditore èil capo dell’impresa”.

Di conseguenza, il secondo comma dell’articolo 2104 impone al lavoratore subordinato di obbedire alle disposizioni che dall’imprenditore stesso sono emanate, oppure che – in sua vece – provengono dagli altri lavoratori che nella scala gerarchica dell’azienda sono posti ad un livello superiore.


Il lavoratore, dunque, non puಠmai decidere di testa sua cosa fare e come farlo, salvo che l’imprenditore stesso non gli abbia concesso libertà  di azione.

Il lavoratore puà², perà², legittimamente rifiutarsi di ubbidire ad un ordine quando gli venga chiesta una prestazione non prevista dal suo contratto, oppure si tratti di un’azione illecita, o, ancora, quando l’attività  richiesta sia pericolosa per la propria salute e sicurezza.

L’obbligo di fedeltà , infine, si sostanzia in due divieti, inerenti la concorrenza e la riservatezza. Il lavoratore non puಠinnanzitutto svolgere una propria attività  che sia in concorrenza con quella del datore nè trattare affari per conto proprio, magari sottraendo clienti al suo capo.


In secondo luogo, egli non puಠdiffondere notizie relative all’organizzazione o ai metodi produttivi dell’impresa, nè fare uso di queste informazioni per recare un pregiudizio al datore di lavoro.
Essendo tali divieti posti nell’interesse dell’imprenditore, tuttavia, èvidente che egli possa anche rinunciare a questi suoi diritti. Un avvocato, per esempio, potrà  dunque acconsentire che il dipendente di uno studio legale faccia anche consulenza a terzi per conto proprio.

Le violazioni dei tre obblighi di diligenza, obbedienza e fedeltà , ovviamente, non sono tutte uguali: la singola violazione puಠessere leggera o molto grave. Le sanzioni comminate a carico del lavoratore, dunque, possono variare moltissimo: dal semplice rimprovero verbale al licenziamento in tronco. In tutti i casi, la punizione deve essere proporzionata alla gravità  dell’atto