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Licenziamento per giusta causa e assoluzione nel giudizio penale

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 802 del 15 gennaio 2013 ha rigettato il ricorso presentato da un lavoratore dipendente licenziato per giusta causa dalla società  per la quale lavorava per via del furto di circa sessanta litri di carburante da parte del dipendente stesso.

Il lavoratore, in particolare, basava il suo ricorso non tanto sulla sussistenza o meno del furto, che stando all’azienda sarebbe stato provato, ma quanto pi๠sul fatto che in merito a tale episodio era stata disposta l’archiviazione del procedimento penale a suo carico.


Ebbene, nel giudicare il caso in esame la Suprema Corte ha affermato che il giudice del lavoro chiamato a pronunciarsi su un’impugnativa di licenziamento comminato sulla base degli stessi comportamenti che sono stati già  oggetto di imputazione in sede penale, non èaffatto obbligato a tener conto dell’accertamento contenuto nella sentenza di assoluzione del lavoratore, avendo il potere di ricostruire autonomamente i fatti materiali e di pervenire a valutazioni e qualificazioni degli stessi del tutto diverse rispetto all’esito del procedimento penale.

La Cassazione ha comunque precisato che la valutazione in merito alla gravità  del comportamento del lavoratore, compiuta ai fini della verifica della legittimità  del licenziamento per giusta causa, deve essere effettuata tenendo conto dell’incidenza del fatto commesso sul rapporto fiduciario che deve necessariamente esistere tra datore di lavoro e dipendente, nonchè delle regole di disciplina previste all’interno dell’organizzazione produttiva.

Per tali ragioni, dunque, non incorre in vizio di contraddittorietà  la sentenza che afferma la legittimità  del recesso nonostante l’assoluzione del lavoratore in sede penale per le medesime vicende addotte dal datore di lavoro a giustificazione del licenziamento per giusta causa.