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Demansionamento e onere della prova

La normativa attualmente in vigore prevede il divieto di demansionamento del lavoratore dipendente, in altre parole il datore di lavoro non puಠassegnare ad un suo dipendente mansioni di livello inferiore rispetto a quelle per le quali èstato assunto, fermo restando alcune specifiche eccezioni (si veda “deroghe al divieto di demansionamento“).

Qualora l’imprenditore agisca in violazione di tale divieto, il lavoratore dipendente non solo ha il diritto di rifiutarsi di svolgere le mansioni di livello inferiore senza il rischio di incorrere in sanzioni disciplinari, ma puಠanche agire in giudizio nei confronti del datore di lavoro per ottenere un risarcimento danni.


Al riguardo una sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che in caso di allegazione di una dequalificazione o di una deduzione del demansionamento riconducibile ad un mancato rispetto dell’obbligo di non assegnare al dipendente lo svolgimento di mansioni inferiori rispetto a quelle per le quali èstato assunto, grava sul datore di lavoro l’onere di provare l’esatto adempimento degli obblighi a suo carico.

In altre parole, dunque, il datore di lavoro per evitare di essere condannato ad un risarcimento nei confronti del dipendente deve riuscire a dimostrare al giudice con prove concrete l’assenza di qualsiasi dequalificazione o demansionamento oppure che l’una o l’altro siano stati giustificati dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali oppure da un’impossibilità  della prestazione derivante da una causa a lui non imputabile.

Oltre al risarcimento per il danno di natura patrimoniale, in caso di demansionamento il datore di lavoro rischia anche di essere condannato ad un risarcimento per danno non patrimoniale derivante dall’umiliazione connessa al prolungato demansionamento (Cassazione sentenza n. 19413 del 23 settembre 2011).