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Difesa d’ufficio inammissibile per i praticanti avvocati

Il mercato degli avvocati in Italia, si sa, èsaturo al punto di scoppiare; e mentre in Parlamento l’esame della riforma che dovrebbe prevedere pesanti selezioni all’accesso al fine di consentire a chi ha superato il fatidico esame di Stato di ritagliarsi un proprio spazio, una brutta tegola arriva dalla Corte Costituzionale.


Il tirocinio professionale ha una durata biennale; tuttavia, già  dopo il primo anno èconsentito per i praticanti svolgere alcune limitate funzioni riconosciute dalla legge. Una di queste funzioni, perà², èdestinata a diventare rapidamente un ricordo: la difesa d’ufficio.

L’articolo 8 della legge che regola l’ordinamento forense (la n. 36/1934, che, nonostante tutte le modifiche intervenute, costituisce da quasi ottant’anni il punto di riferimento degli avvocati italiani) prevede infatti che i praticanti hanno la possibilità  non solo di essere nominati difensori d’ufficio ma anche di svolgere le funzioni di pubblico ministero, e in questi due potenziali ruoli possono anche proporre tutte le relative impugnazioni.

La Corte Costituzionale, perà², ha ritenuto questa legge inammissibile per il nostro ordinamento: la sentenza n. 106 dello scorso 17 marzo, infatti, ha infatti puntato l’indice contro l’esperienza professionale ancora in divenire dei praticanti, che dunque non sarebbero in grado di garantire una sufficiente tutela per gli assistiti; discorso analogo dal lato del pubblico ministero.


La sentenza non ha ottenuto per ora una grande attenzione da parte degli organi di comunicazione di massa, ma èfacile pensare come invece per gli aspiranti avvocati la notizia abbia già  fatto il giro degli studi, seminando ulteriore preoccupazione in un settore professionale già  in ginocchio.