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Deficit di innovazione tecnologica per l’Italia

L’Unione Europea ha stilato, come ogni anno, una graduatoria di trentatrè Paesi del Vecchio Continente riferita alla capacità  di contribuire all’innovazione tecnologica: si tratta dei ventisette Stati membri pi๠altri sei (Croazia, Islanda, Norvegia, Serbia, Svizzera e Turchia).


La graduatoria comporta la valutazione di ben ventinove parametri, l’assegnazione di un relativo punteggio per ciascuno di essi e il calcolo di una media ponderata, racchiusa nell’intervallo fra 0 (il minimo) e 1 (il massimo).
La media europea si attesta a 0,5 e l’Italia, purtroppo, èal di sotto: 0,4. Fra i trentatrè Paesi valutati, il nostro si colloca al ventitreesimo posto, al di sotto di partner comunitari apparentemente meno innovativi come Grecia e Portogallo, che invece riescono a sorpassarci senza troppe difficoltà . Per la cronaca, il primo posto se lo aggiudica la Svizzera, seguita da Svezia e Germania.

Le cause della defaillance italiana sono tante. Fra i ventinove parametri, quelli per cui lo Stivale ottiene i punteggi pi๠mediocri sono inerenti allo scarso numero di risorse umane qualificate (d’altronde, moltissimi ricercatori preferiscono emigrare all’estero) e alla modesta integrazione fra le attività  di studio condotte dagli enti pubblici rispetto a quelle dei privati.


I fattori pi๠positivi, invece, sono una certa capacità  di ideare le soluzioni ai problemi e l’abbondante disponibilità  di risorse finanziarie a disposizione: sebbene la percentuale di PIL destinata alla ricerca sia in continua diminuzione, in valore assoluto ècomunque superiore a quella di molti altri Stati.

A livello complessivo, infine, scopriamo che l’Europa continua a perdere posizioni rispetto al Nordamerica e al Giappone, che ci distaccano sempre di pià¹, mentre, dalle posizioni inferiori, Cina, India e Brasile incalzano.