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Giovani precari con partita IVA

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Il fenomeno, in realtà , esiste già  da molti anni, ma èindubbio che èsolo da qualche tempo che esso èsploso in tutta la sua evidenza. In pratica, le aziende, facendo due conti, hanno scoperto che pagare un lavoratore autonomo, a parità  di condizioni, èmolto pi๠conveniente che assumere un dipendente o un collaboratore coordinato e continuativo.

Sono ormai innumerevoli i casi di giovani privi di occupazione che trovano un lavoro solo previa apertura della partita IVA, e altrettanti sono coloro che una mansione già  ce l’avevano, ma un brutto giorno hanno dovuto eseguire, su richiesta del datore, l’ingrata scelta se divenire autonomi o restarsene a casa.


Il lavoro svolto, in realtà , èlo stesso: identico ruolo, identici orari, di solito anche un identico trattamento economico. Qual à¨, invece, la differenza? Il lavoratore autonomo non iscritto ad un albo professionale non costa niente all’azienda in termini di contributi previdenziali (eccetto il misero 4% di rivalsa della Gestione Separata INPS, oltretutto facoltativo), mentre il peso dei contributi èsempre pi๠divenuto rilevante nei casi dei subordinati e parasubordinati.


Va ricordato che il lavoratore autonomo addebita l’IVA in fattura, ma ovviamente l’azienda la puಠdetrarre al 100% senza alcun problema. Si calcola che per un’impresa far eseguire uno stesso lavoro ad un autonomo sia pi๠conveniente di circa il 25% rispetto ad un co.co.pro. e addirittura del 33% rispetto ad un dipendente vero e proprio.

Inutile dire che la precarietà  previdenziale non èaffatto compensata da vantaggi di altro genere: il presunto “autonomo”, in realtà , non ha la possibilità  di avviare rapporti di lavoro con altri committenti e si ritrova a maneggiare rigidi orari di lavoro esattamente come un qualunque subordinato, senza contare che un futuro licenziamento non avrebbe alcun tipo di limitazione.