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Il fisco ha il diritto d’insistere

Immaginate di essere un esercizio commerciale e di dover riscuotere da un cliente, il pagamento per un servizio. Sicuramente, se insistete oltremodo potreste perdere i soldi e i clienti. Il fisco invece, ha il diritto d’insistere. 

Un recente articolo di FiscoOggi èdedicato al tema della riscossione. Si spiega che la pericolosità  fiscale giustifica l’emissione anticipata dell’avviso di accertamento. Nessuna deroga, invece, nel caso di cattiva pianificazione dell’attività  da parte dell’ufficio. Non èdato sapere quale sia effettivamente l’elemento “pericoloso” in un’evasione se non la possibilità  che si reiteri il reato all’infinito. Lasciando al lettore la possibilità  di leggere la completa vicenda processuale qui, riportiamo di seguito soltanto la pronuncia della Corte di Cassazione, cosଠcom’èstata resa “accessibile” da FiscoOggi.

La pronuncia della Cassazione
La Corte suprema, con la pronuncia in commento, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.
In ordine al primo motivo, i giudici hanno effettivamente riconosciuto il vizio di ultrapetizione, risultando, per tabulas, che l’ufficio non avesse mai posto a base del mancato rispetto del termine dilatorio lo spirare del termine di decadenza.

In merito al secondo motivo, i giudici hanno ribadito il principio secondo cui il “pericolo derivante da reiterate condotte penali tributarie à¨, in astratto, un’indubitabile e valida ragione d’urgenza atta a giustificare l’anticipazione della notifica dell’atto impositivo in deroga al termine imposto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7” (cfr Cassazione, pronuncia 2587/2014).
Nel caso di specie, i giudici di appello non solo avevano omesso qualsiasi valutazione in merito alla pericolosità  penale del contribuente, ritenendola un aspetto di esclusiva pertinenza del giudice penale, ma neppure avevano considerato, ai fini dell’integrazione dei motivi di urgenza, le reiterate violazioni di natura tributaria, già  riconosciute da precedente giurisprudenza di legittimità  (cfr Cassazione, pronuncia 14287/2014).